giovedì 19 novembre 2009

Mannaggia non parlo vietnamita! Incontri…

E’ una bellissima giornata, con la bici mi avvio verso il mare, ad una quindicina di chilometri da Hué.

Dopo quattro chilometri la prima sosta, al villaggio di Duong No, dove si può visitare la casa che Ho Chi Minh abitò dal 1898 al 1900. Dei bambini in bicicletta mi ci accompagnano, è una casa molto semplice, una capanna fatta di bambù e con il tetto di paglia… che contrasto con il mausoleo ad Hanoi!

Il posto è tranquillo, i due ragazzi che se ne prendono cura gentili, mi accompagnano anche al piccolo museo di fianco, dove accendono incensi davanti alla statua di Bac Ho, zio Ho, come sento che lo chiamano.
A soli quattro chilometri dalla città turistica tutto è cambiato e, come avrò modo di sperimentare in tutto questo viaggio, scopro l’estrema gentilezza ed accoglienza dei vietnamiti…qui non sono più l’ennesimo turista, gallina di passaggio da spennare. Pedalando per le vie del villaggio ricevo “Hello!” sorridenti, una coppia di anziani mi invita a visitare la loro bella casa tradizionale che stavo fotografando dall’esterno, una ragazza al mercato che non vende che poche canne da zucchero insiste perché ne prenda un pezzo in regalo.

Mentre pedalo sotto il sole masticando il pezzo di canna per estrarne il succo dolce e dissetante, sento delle grida di richiamo. Sono dei bambini che si sporgono dalla finestra di una piccola casetta gialla, una sola stanza. Fuori delle caprette, sullo sfondo il riverbero della laguna in questa terra che sta per diventare mare. E’ una scuola e i bambini si scatenano eccitati quando chiedo alla maestra il permesso di fare loro una foto. Quante domande vorrei fare… mannaggia a non parlare vietnamita!




Chiedo informazioni circa la strada a delle persone sotto una tettoia. Con una punta di trapano ed un mazzuolo ritagliano la carta per farne lampade colorate. Per prima cosa mi danno una piccola sedia di plastica rossa, implicitamente mi dicono siediti, riposa, prenditi il tempo di dirci da dove vieni, dove vuoi andare, cosa ci fai qui!
E poi ecco il mare, punteggiato di pescatori, e una distesa accecante di sabbia bianca. Una signora anziana la sta percorrendo lentamente, con il cappello a cono come riparo. Come un’oasi d’ombra una tettoia ristorantino, se ne vedono altre, ma distrutte dal recente tifone.


Oltre me solo una famiglia vietnamita che sta mangiando granchi… chiedo se sono buoni, ne ordino uno anch’io.


Non passa molto tempo che sono di nuovo da loro con … il granchio in mano! Non so come aprirne il corpo… in un battibaleno se ne occupa la nonna, vengo invitata a sedermi con loro e il piatto mi viene subito riempito, e, appena vuoto, di nuovo riempito di altro cibo. Il figlio, la nuora e il loro bambino abitano a Saigon (Ho Chi Minh City ora), stanno festeggiando il primo giorno delle loro vacanze che passeranno nella casa di famiglia a Hué… hanno diritto a 12 giorni l’anno, e sono fra i fortunati! Mi propongono in modo veramente cortese, quasi fossi io a fargli un favore, di passare il resto della giornata con loro, a fare il bagno al fiume… la bici non è un problema… viene caricata sul tetto della macchina e si parte. Passiamo da casa loro a prendere un altro fratello e la moglie, genitori della bimba che già si trova con noi, e viveri che la nonna aveva già preparato per la scampagnata… in Vietnam non si fa che mangiare… e, almeno per me, benissimo! Il nonno purtroppo non può venire, è al lavoro. Lo conoscerò la sera, al rientro. E’ veramente una bella famiglia.
Ad una trentina di chilometri dalla città, sotto le colline verdi che in questi giorni vedevo in lontananza dalla città, scopro che il fiume in realtà è un’insieme di piscine di acqua termale calda e fredda con giochi d’acqua niente male… non c’è verso di pagare l’ingresso e di ringraziarli in qualche modo. Vedo che tutte le donne e le ragazze fanno il bagno in pantaloncini e maglietta… chiedo ai miei nuovi amici se è possibile indossare il costume. Mi dicono di sì.
Al rientro ammiro il paesaggio di risaie… intorno ai bufali neri ci sono sempre delle egrette bianche… mi chiedo se i bufali, smuovendo l’acqua e il fango, le facilitino nella ricerca del cibo.
I miei ospiti mi indicano felici due nuvole cumuliformi ai lati del sole al tramonto… assomigliano a due dragoni dicono, è segno di buona fortuna. In cuor mio gliene auguro veramente tanta!

La lingua vietnamita (Kinh) è una fusione di elementi Mon-Khmer, Tai e Cinesi. Infatti una rilevante percentuale di parole base deriva dalla lingua non tonale Mon-Khmer, dal Tai alcuni elementi grammaticali e l’uso delle tonalità, dal Cinese il vocabolario letterario, tecnico e governativo oltre che il tradizionale sistema di scrittura. Si dice che la parte più difficile nell’apprendimento di questa lingua per gli occidentali siano i sei toni con cui può essere pronunciata la stessa sillaba. Per esempio la parola “ma”, a seconda del tono con cui è pronunciata, ha il significato di “fantasma”, “ma”, “madre”, “pianticella di riso”, “tomba”, “cavallo”.
La parola più facile da imparare per noi italiani? “Sin ciao”... che significa… ciao! :)

Bici è… libertà!

Mi dà un grande senso di libertà girovagare per Hué come e dove mi pare, indipendente. Ora i guidatori di cyclo non mi assillano più ad ogni passo con il solito “madame, cyclo!”… anzi mi sorridono in quanto pedalatrice come loro. Dopo l’apprendistato come pedone ad Hanoi mi tuffo nella corrente del traffico di bici e motorini e, non so come, riesco a passare indenne anche dagli incroci più intasati!

La mattina presto posso così spingermi fino ai quartieri dalle case basse e le viuzze strette e quiete, già con l’aria del villaggio. Vedo massaggiare i galli da combattimento e le persone far colazione, dopo i loro esercizi ginnici, in uno dei tanti ristorantini “da marciapiede” sul lungo canale, all’ombra di un grande albero.

 L’albero ospita nel tronco dei piccoli altari su cui fuma l’incenso, le persone delle case vicine stanno appendendo alle sue fronde le gabbie con i loro uccelli canterini. Gabbie di bambù complete di piccole ciotole in porcellana bianca e blu per cibo e acqua. Arriva la signora anziana, il bilanciere carico di verdure fresche con cui rifornisce la cuoca.


Nei dintorni del mercato c’è un andirivieni di “cyclo cargo”, come mi piace chiamarli, inverosimilmente carichi di merci.


Nel tardo pomeriggio invece ammiro le ragazze delle scuole superiori che se ne tornano a casa, pedalando eleganti nella luce del tramonto. Come divisa un “Ao Dai” bianco sul quale i loro lunghi capelli neri raccolti a coda creano un piacevole contrasto.

Ah, dimenticavo…. in bici si sente anche meno il caldo che non camminando! E poi… è tutta pianura :))

“Ao Dai”
Negli anni ’30 del secolo scorso diventarono di moda in Vietnam le fiere, non solo per vendere e comprare, ma soprattutto come luogo d’incontro e divertimento. Di solito ospitavano anche un concorso di bellezza e le ragazze più carine in genere erano studentesse di alcune scuole superiori di Hanoi, Hué e Saigon. Proprio un pittore e insegnante di Hanoi, Ngunyan Cat Tuong, ebbe l’idea di creare il nuovo abito “Ao Dai” (tunica lunga) capace di esaltare la figura femminile, facendola sembrare più alta e snella. Inizialmente la nuova moda incontrò parecchia opposizione, in quanto ritenuto socialmente non appropriata, ma poi si diffuse rapidamente diventando veramente popolare. Oggi, invece, mi sembra che non sia indossato come un tempo, così attillato forse è un po’ scomodo per lavorare. Le studentesse e le persone che lavorano negli hotel, agenzie turistiche, compagnie aeree lo portano come divisa. Nelle strade, invece, vedo le donne anziane indossare dei pantaloni morbidi con una blusa e le più giovani jeans e maglietta.

mercoledì 18 novembre 2009

Kinh Thanh, "la Cittadella"

Sette di mattina, è ancora fresco, l’attività della città in pieno fermento. Con la bici mi incanalo nel traffico di uno dei ponti che attraversano il “Fiume profumato” (Song Huong) che passa da Hué, città del Vietnam centrale. I ponti collegano il resto della città alla Cittadella, una vasta aerea quadrata circondata da mura, scelta nel 1804 dai geomanti dell’imperatore per farne la sua residenza.
Secondo la geomanzia le opere dell’uomo andrebbero costruite in modo da essere in armonia con la natura, integrarsi nella bellezza dell’ambiente ed essere salutari per gli abitanti. Un lato del quadrato è costeggiato dal fiume, gli altri tre da canali. Con un altro ponte supero il fossato che circonda le mura ed imbocco uno dei passaggi che le attraversano. Ed ecco l’ingresso al recinto imperiale, il grande portone Ngo Mon: un tempo solo l’imperatore poteva passarvi, per i comuni mortali vi erano altri accessi. Ora qui c’è la biglietteria, oltre continua quest’affascinante percorso in cui sembra di essere in un gioco di scatole cinesi…. di passaggio in passaggio arrivo al cuore della Cittadella: Tu Cam Thanh, la “Città purpurea proibita”. Cittadella nella Cittadella nella Cittadella era riservata all’imperatore e alle sue concubine. Unico personale ammesso? Gli
eunuchi…

Dal 1993 la Cittadella è patrimonio dell’Unesco ed è ancora in fase di restauro dopo i danneggiamenti subiti durante le guerre e gli anni di abbandono in quanto considerata, nel Vietnam comunista, simbolo del potere feudale della dinastia Nguyen. Di diversi edifici non rimangono che le macerie.

Saccheggiandola dei beni più preziosi e bruciando i volumi della biblioteca imperiale, i francesi, dopo una battaglia nel 1885, hanno anche destituito l’imperatore del tempo per sostituirlo con uno più malleabile al loro dominio.
Nel 1968, invece, fu teatro di una delle più sanguinose battaglie dell’offensiva Tet, offensiva che determinò un punto di svolta, a favore dei nord-vietnamiti, nell’andamento della guerra. Durante le tre settimane e mezzo in cui i nord-vietnamiti ne mantennero il controllo furono giustiziate più di 2500 persone considerate “non cooperative”: soprattutto ricchi mercanti, impiegati governativi, monaci, preti, intellettuali.


Per riprendersi la città sud-vietnamiti e americani la bombardarono a tappeto. Negli scontri nelle strade che seguirono furono uccise circa 10.000 persone, soprattutto civili.
Sono seduta nei pressi dell’edificio che ospitava la sala di lettura dell’imperatore, l’unico completamente originale. Circondata da quelli che dovevano essere dei bei giardini, di tanto in tanto alzo gli occhi da queste letture che parlano di guerra, morte e distruzione. Il laghetto è pieno di fiori di loto. Sono sola, lo stormire delle foglie e l’incresparsi leggero dell’acqua quando una di esse vi cade sopra mi fanno compagnia. Di tanto in tanto il canto di un uccello.

martedì 17 novembre 2009

Fra due mondi

Khu oggi compie 23 anni. Intelligente, idee chiare sulla vita, indipendente, parla molto bene inglese, fra poco partirà per la Francia dove verrà ospitata per due mesi da una famiglia di turisti con cui ha fatto amicizia. Ha già viaggiato in Vietnam ed è andata in moto nel nord del Laos, dove vivono altre persone della sua etnia, quella H’mong. L’inglese lo ha imparato da sola, con il contatto con i turisti ed è sicuramente molto più brava dei vietnamiti che lo imparano a scuola e che hanno una pronuncia difficilmente comprensibile.
Mentre facciamo colazione riceve un sms sul suo cellulare… sono gli auguri di una coppia di turisti australiani. Mi chiede di leggerle il messaggio e di scrivere la risposta. E’ una delle tante contraddizioni di questo piccolo mondo… Khu, vestita di tutto punto con gli abiti tradizionali, ha cellulare ed e-mail ma ha bisogno di qualcuno per poterli utilizzare. Scopro che, pur essendo così fiera di mostrarci gli edifici scolastici gialli sempre più numerosi nei villaggi, lei, a scuola, ci è andata solo per due mesi. Dunque non sa leggere e scrivere neppure in vietnamita. E’ un peccato le dico, le persone possono imbrogliarti più facilmente, ed è più difficile far valere i tuoi diritti. Ma forse è gente che non è molto abituata ad avere diritti, visto che i Vietnamiti li chiamano in modo dispregiativo “moi”, “selvaggi” e lei, dice, quando va ad Hanoi o in altre parti del Vietnam, lascia gli abiti tradizionali per jeans e maglietta. Si schermisce quando le chiedo perché.
Sicuramente qualche motivo di risentimento contro gli H’mong i vietnamiti lo hanno, visto che sono stati “utilizzati” dalla CIA nella “guerra segreta” in Laos: una guerriglia per cercare di bloccare i rifornimenti dal Vietnam del nord a quello del sud lungo il sentiero di Ho Chi Minh. Persa la guerra gli americani se ne sono andati, gli H’Mong sono rimasti a subire le rappresaglie, i più fortunati sono riusciti a scappare in Thailandia per vivere in un campo profughi o per cercare di espatriare.

Sono fortunata ad avere lei come guida nel piccolo trekking di due giorni che porta i turisti a camminare di villaggio in villaggio e a passare una notte presso una famiglia… è la mia possibilità per capire qualcosa da questa esperienza nel nord del Vietnam e, nello stesso tempo, è uno scambio di informazioni fra due mondi che vogliono sapere di più l’uno dell’altro.
Arrivare fin qui e pensare di trovare un mondo in cui la cultura delle minoranze etniche sia “intatta” è decisamente anacronistico e non può che portare delusione. Le cose stanno cambiando velocemente e il turismo, con i suoi pro e contro, è un potente acceleratore del processo.
Le donne sembrano essere quelle che più tengono il passo. Sono loro che hanno imparato l’inglese e si occupano di trarre beneficio dal turismo. Oltre alle attività di vendita sono piacevolmente colpita dal fatto che tutte le guide per i trekking o le escursioni di una giornata fra i villaggi di montagna siano ragazze locali.
Gli uomini, mi dice Khu, sono timidi, preferiscono occuparsi dei bufali e stare sulle montagne, non sanno l’inglese.
Via via che si cammina fra le risaie terrazzate e Khu ci mostra le attività da “programma” (coltivazione della pianta da cui estraggono il colore indaco, tintura dei tessuti con questo succo, grappe medicinali con dentro serpenti, gechi e altri simpatici animaletti, ricamo, sistemi di canalizzazione per portare l’acqua di terrazza in terrazza, allevamento degli animali, ecc.) il nostro piccolo gruppo internazionale si affiata e, in modo leggero, con scambi di battute, si affrontano anche altri temi.


La sera ci raccogliamo intorno al focolare, cuciniamo insieme, imparando a fare gli involtini primavera. Dopo cena giochiamo a carte, Khu ci insegna i loro giochi, impara i nostri. Le chiediamo di un ciondolo che porta al collo a forma di cuoricino che, inavvertitamente, le è sfuggito dai vestiti… ha un boyfriend? Un occidentale magari? No, no, niente boyfriend, molte sue amiche sono già sposate da tempo e hanno figli, lei è già considerata vecchia, ma prima vuole essere libera di fare altre esperienze. Dice che oggi le ragazze hanno la possibilità di scegliere il marito… scherzando insistiamo… magari un marito occidentale? Non nega di esserne in qualche modo affascinata ma no, è poco pratico, uno dei due si dovrebbe trasferire e poi… cosa farebbe? Come potrebbe essere felice in un mondo diverso? E poi qui la famiglia del marito deve regalare alla sposa delle terre da coltivare… ed è bello andare insieme a lavorare nella risaia. Mi colpisce la poesia di quest’immagine.

Ripenso a tutto quello che ci si è detti la mattina presto, seduta sotto la tettoia della casa da cui ammiro la valle sottostante. Gli uomini stanno smantellando il bagno dove ci siamo lavati ieri sera. L’impiantito di fusti di bambù attraverso cui scorreva l’acqua, riscaldata sul fuoco a legna della cucina, che mi versavo addosso con un secchiellino, verrà sostituito da uno di cemento, molto più bello, afferma sicura Khu. A me sembrava più bello quello in bambù, vedo fuggire delle piccole rane via via che gli uomini procedono con il lavoro. Sotto il cemento non potranno essercene. Ma, forse, è una bellezza che può apprezzare chi, a casa, un bagno con tutti i comforts già ce l'ha.



Buy from me, buy from me!



Compra da me, compra da me! E’ il mantra che si sente ripetere continuamente a Sapa e dintorni. Non appena si scende dall’autobus, o si mette piede fuori dall’hotel si è subito attorniati dalle donne H’mong e Dzao che cercano di vendere i loro manufatti al turista. Non si può certo biasimarle, come minoranze etniche e abitanti di un territorio montuoso che concede un solo raccolto di riso l’anno rispetto ai due o tre di altre parti del Vietnam, sono tra gli abitanti più poveri del paese… come non voler integrare i propri guadagni cercando di trarre beneficio da un turismo sempre più invadente?
Sono gentili ma è veramente dura esserlo altrettanto all’ennesima trafila di domande… da dove vieni, quanti anni hai, sei sposata, hai figli, con chi viaggi… noto però che rispondendo alle loro domande poi non insistono più di tanto e si allontanano… forse faccio loro pena, o porto sfortuna! Alla mia età, niente marito, niente figli, viaggio da sola… una disgrazia via l’altra insomma!
Mi chiedo se queste domande siano solo una rituale introduzione alla trattativa o siano utilizzate dalle donne, da consumante venditrici quali sono, per “targhettizzare”, “inquadrare” il possibile cliente: propensione alla spesa, gusti, capacità di contrattazione in base a nazionalità, età, modalità preferita di viaggio…

Le si vede continuamente ricamare, riportando nei copricuscini e nelle coperte che vendono ai turisti i motivi tradizionali che decorano i loro abiti. Sono molto belli, alcuni ricordano degli yantra, utilizzati anche nello yoga tantrico come strumenti capaci di focalizzare e concentrare la mente per indurre lo stato meditativo. Chiedo loro cosa rappresentino questi disegni, ma, come spesso accade, pare si sia persa la memoria del loro significato simbolico. E’ qualcosa che semplicemente si tramandano di madre in figlia.



Sapa, fondata dai francesi nel 1922 come luogo di villeggiatura, si trova al confine con la Cina. La zona del centro, il laghetto, le montagne verdi, ricordano in effetti una stazione climatica francese di media montagna… la giornata è bella, da qui si vede il monte più alto del Vietnam, il Fansipan di 3143 metri.


Le etnie che popolano l’area sono arrivate, in tempi diversi, dal sud della Cina, per ragioni politiche e alla ricerca di terre coltivabili… ma come spesso accade, l’ultimo arrivato si deve accontentare, e la terra coltivabile se la sono dovuta creare terrazzando le montagne. Ciascuna etnia, pur vivendo a stretto contatto, ha mantenuto lingua e costumi propri.

Chi non ha nulla da vendere cerca di vendere la propria immagine… “one dollar” dicono le anziane dalla bocca sdentata, “money money” cantilenano i bambini… dopo decenni di abitudine ad essere inquadrati, “cacciati” dagli obiettivi fotografici alla ricerca del souvenir folcloristico… come non capirli?

sabato 14 novembre 2009

Dragone in mare!



Halong, in vietnamita significa “dove il dragone discende nel mare”. Halong bay è una delle meraviglie che la natura offre… più di 3000 isole, o sarebbe meglio dire montagne, che emergono dall’acqua verde del golfo del Tonchino. Pareti verticali ricoperte di vegetazione tenace, formazioni rocciose erose dall’acqua e dal vento che hanno creato grotte e fori e, con un po’ di immaginazione, figure umani e animali.
Secondo la leggenda, liberamente interpretata, queste isole sono state create da un dragone che viveva sulle montagne… ma che voleva andare a farsi una vacanza al mare. Scendendo allegro per la gita, non badava troppo alla sua coda che, scodinzolando, scavava valli e dirupi. Quando, alla fine, si è immerso nel mare, queste valli si riempirono d’acqua, lasciando visibili solo i pinnacoli.


A parte gli scherzi, è veramente un paesaggio magico, soprattutto all’alba e al tramonto, quando la luce è soffusa e i profili delle montagne sfumati. Un paesaggio che si ammira dalle barche, riproduzioni di giunche cinesi, dove si alloggia in un ambiente decisamente curato e confortevole.
Diventato un luogo da non mancare in un viaggio in Vietnam, naturalmente ha un rovescio della medaglia… mi sembra di essere in una grande fabbrica del turismo, un piccolo pacco, insieme a centinaia di migliaia di altri pacchi, che viene passato di mano in mano in quest’enorme catena di montaggio. Il pacco viene ritirato in hotel, caricato su un minibus insieme ad altri pacchi già ritirati o ancora da andare a raccogliere. Tre ore e mezzo il viaggio da Hanoi ad Halong, di cui mezz’ora di fermata in un grande laboratorio-negozio di souvenir a prezzi maggiorati (ovviamente quello dell’andata è diverso da quello del ritorno). Arrivo al porto d’imbarco, attesa del proprio destino in mezzo alla moltitudine di altri pacchi nella stessa situazione. Finalmente si sale a bordo e si parte alla volta delle formazioni rocciose, in una formazione compatta di giunche che fanno lo stesso percorso (chiedo di quante giunche turistiche è formata la flotta di Halong… 500 mi dicono, ma oggi in mare ce ne sono “solo” duecento, è ancora bassa stagione…).


Si arriva nella baia dove è incentrata la maggior parte dell’attività… visita alle grotte, sosta alla spiaggia, noleggio kayak, venditrici ambulanti di cibo, bevande, conchiglie e, per chi se la sente, camminata sulla cima di un monte per ammirare il paesaggio… beh, qui è proprio bello e, complice la salita a gradoni molto ripida, c’è poca folla.

Fortunatamente, avendo deciso di trascorrere due notti a bordo, il secondo giorno ho modo di vivere la magia del posto lontana dal rumore e dai fumi di scarico delle barche… ci allontaniamo e, dopo due ore di navigazione, arriviamo ad un piccolo villaggio galleggiante di pescatori. Richard, un signore americano, la guida ed io, siamo gli unici in questo momento ad addentrarci in questa meraviglia. Unico suono quello delle pagaie che si immergono nell’acqua per sospingere i nostri kayak in questo mare color smeraldo piatto come una tavola.


Ci inoltriamo in un primo tunnel, percorribile solo in kayak e con la bassa marea. Smettiamo di pagaiare… c’è solo il suono delle gocce d’acqua che lungo le stalattiti cadono in mare e una luce riflessa che pare arrivare dal basso. Ad un tratto ci ritroviamo in un lago all’interno della montagna… un luogo incantato con il canto degli uccelli e farfalle enormi che volano qui e là… e da qui un altro passaggio e un altro lago… e un altro ancora… mi sento un pacco fortunato in questo momento!
La sera, ritornando verso la “base”, mentre guardo alcuni pesci volanti saltare intorno alla barca, mi chiedo se ci sarà un momento in cui il dragone, stanco del frastuono di tutte queste attività umane, non deciderà di tornare in montagna… magari facendo un bel casino con la sua coda anche nel viaggio di ritorno!

Il dragone, animale mitico, lo si trova ovunque qui in Vietnam… inciso, dipinto ,tessuto, scolpito. Secondo la leggenda Lac Long Quan (il Signore Drago Lac) sposò Au Co (una “immortale”, una divinità della montagna, dalla forma di uccello), che gli diede cento uova da cui nacquero cento figli. Il primogenito fu il capostipite della dinastia degli Hung, i primi re Viet. Per i vietnamiti il dragone porta la pioggia, essenziale per l’agricoltura. Rappresenta l’imperatore, la prosperità e il potere della nazione. Come il dragone cinese anche quello vietnamita è il simbolo dello “Yang”, cioè l’universo, la vita, l’esistenza e la crescita.

Molti detti e modi di dire vietnamiti citano il dragone…
"Rồng gặp mây": "Il dragone incontra le nuvole" – quando ci sono delle condizioni favorevoli.
"Đầu rồng đuôi tôm": "Testa di dragone, coda di gamberetto” – qualcosa che parte bene e finisce male.
"Rồng bay, phượng múa": "Volo di dragone, danza di fenice” – per mostrare apprezzamento verso la calligrafia di qualcuno che scrive bene gli ideogrammi cinesi.
"Rồng đến nhà tôm": "Il dragone visita la casa del gamberetto” – un modo di dire usato dalla persona ospitante (un umile gamberetto) verso quella ospitata (un nobile dragone).





martedì 10 novembre 2009

Ho Chi Minh

Bac Ho, zio Ho, come viene affettuosamente chiamato dai suoi ammiratori, così almeno dice la guida della Lonely Planet…. mi chiedo cosa ne pensino e se continua ad essere un mito per loro, i giovani vietnamiti che vedo ronzare indaffarati per le strade di Hanoi. Più del 60% della popolazione vietnamita ha meno di trent’anni, dunque nata abbondantemente dopo la morte di Ho Chi Minh, nel 1969.
Ed è una generazione cresciuta dopo l’inizio, nel 1986, del “Doi Mo”, il processo di “rinnovamento” economico (ma non solo) che ha portato il Vietnam da una economia di stampo socialista sull'orlo del collasso ad un’economia di mercato con un tasso medio di crescita del PIL (nel periodo 2004/2008) del 7,5% annuo, a testimonianza di un’economia in pieno fermento integrata negli scambi internazionali (nel 2007 il Vietnam è entrato a far parte dell’ OMC, Organizzazione Mondiale del Commercio).

Me lo chiedo mentre, a piedi, sono sola a percorrere questo enorme spazio aperto, pensato per le masse. Una sensazione strana, che ancora non so definire, impalpabile. Mi siedo, per terra, all’esile ombra di un lampione di questa tarda mattinata assolata e ventosa. Tento di trasformare la sensazione in parole, sul foglio ancora bianco del mio quaderno d’appunti, compagno di questo viaggio.
Lo spazio è quadrato, delimitato da grandi viali, in cui continua a scorrere incessante il traffico, il cui suono arriva sin qui. Per una metà occupato da un prato verdissimo, i vialetti pedonali pavimentati che si intersecano ne fanno una scacchiera. Nell’altra, una spianata di cemento. Unica presenza, a parte i lampioni, il palo con la bandiera del Vietnam. Sventola gagliarda, bello il contrasto del rosso e del giallo con il cielo intensamente azzurro, terso. Vi si affaccia il mausoleo di Ho Chi Minh, una costruzione di pietra, grigia, squadrata, colonne squadrate su tutti i lati. Poggia su una base a gradoni.

Il mausoleo è chiuso. In questo periodo, come ogni anno, il corpo imbalsamato di Ho è a Mosca, per la “manutenzione”, il trattamento conservativo.
Ci sono comunque due soldati di guardia. Impressionante quanto stiano immobili, non si lasciano distogliere nemmeno da una grande farfalla che vola loro intorno.

Buffo che vi sia tutto questo quando, invece, zio Ho avrebbe voluto essere semplicemente cremato, nella semplicità che gli era propria.
Quello che provo è spaesamento, probabilmente la sensazione sarebbe molto diversa se lo spazio fosse occupato da centinaia di migliaia di persone. Forse, invece, sarei comunque a disagio in questo spazio che parla di culto della personalità…. culto che si ritrova ogni volta che si usa la cartamoneta visto che non c’è che la sua effige su tutti i tagli in circolazione, spesso si vede una sua statua o un museo a lui dedicato, la sua immagine riprodotta su una scuola o in vendita accanto a quella di Buddha, e Saigon è diventata Ho Chi Minh City. Avrebbe apprezzato tutto questo? Sì, mi piacerebbe parlarne con i vietnamiti, chissà se se ne presenterà l’occasione!



Ho Chi Minh (portatore di luce) è uno dei moltissimi pseudonimi di Nguyen Tat Thanh (1890-1969). Fondatore del partito comunista e presidente della Repubblica Democratica del Vietnam dal 1946 fino alla sua morte, è stato il principale protagonista della lotta di liberazione del Vietnam dal colonialismo francese (conclusasi nel 1954 con la vittoria di Dien Bien Phu). La guida consiglia la lettura di “Ho Chi Min”, una biografia scritta da William J. Duiker.

domenica 8 novembre 2009

Sane abitudini



Arrivo alle sei del mattino ma la vita intorno al lago Hoam Kiem, cuore del vecchio quartiere, è già in pieno fermento. Tante, tante persone di ogni età intente a prendersi cura del proprio benessere in tanti, tanti modi diversi. Chi corre o cammina intorno al lago, chi, rivolto verso l’acqua, si massaggia i piedi, la schiena, il viso. Anziani si dedicano al Qigong sotto gli alberi, ragazzi sollevano pesi in una palestra all’aperto che ogni mattina viene allestita sul marciapiede. Un gruppo di donne pratica tai-chi, proprio di fronte un altro gruppo, sempre di donne, l’aerobica. Molti giocano a Badminton, qualcuno medita, altri pescano o chiacchierano con gli amici seduti su una panchina.

Trovo un posto tranquillo di fronte al lago, accanto un signore anziano pratica dei movimenti lenti in armonia con il respiro. Assumo qualche posizione di yoga in piedi, così, per entrare nello spirito che anima il lago in quest’ora mattutina. Raccolgo sorrisi da parte dei vietnamiti, solitamente seri e concentrati, che passano spediti o correndo. Strappo invece delle grandi risate ad un gruppo di signore anziane a cui mi unisco nella pratica di auto massaggio che stanno facendo… è la stessa che insegna Barbara nel corso di tai-chi al centro Maitri!
Mi sembra che il venire al lago la mattina presto e fare qualche forma di esercizio, da soli od in gruppo, sia una sana abitudine, qualcosa che si fa ogni giorno, con qualsiasi tempo, in ogni stagione, anno dopo anno. Un po’ come lavarsi i denti, nulla di eccezionale.
Le donne più inclini alla socialità, a praticare in gruppo ginnastica, aerobica, Tai-chi, Qigong. Gli uomini, a seconda dell’età preferiscono correre, camminare, la pesistica, l’automassaggio, la meditazione.. un po’ più solitari insomma, perlomeno durante l’attività mattutina.
I risultati ci sono… le persone anziane sono decisamente più snelle, più erette, fluide nei movimenti della maggior parte dei loro coetanei occidentali.

Me ne vado con il passo più leggero e l’umore più sorridente di quando sono arrivata… sì, concordo con gli abitanti di Hanoi, questo mi sembra un buon modo per cominciare un nuovo giorno!

giovedì 5 novembre 2009

Fiume ronzante

Lasciarsi andare alla corrente, lasciare che sia l’istinto a prendere il comando, entrare nel flusso. L’importante è non bloccarsi o avanzare velocemente od opporsi… potrebbe diventare pericoloso. Camminare lentamente, sguardo rilassato e circolare in modo che possa cogliere ogni movimento in un ampio raggio e… voilà, come per magia riesco ad attraversare la strada… o forse sarebbe meglio dire il fiume!

Fiume di persone, motorini, biciclette, cyclo, auto, flusso incessante nelle strette ed ingombre strade del vecchio quartiere di Hanoi. Non esistono precedenze, semafori, marciapiedi praticabili (in quanto ingombri di motorini parcheggiati, ristorantini, artigiani che li usano come estensione della bottega, venditrici ambulanti con le loro merci…) ma sembra non esistano nemmeno incidenti, diverbi, prese di posizione. E’ semplicemente incredibile come tutti sciamino senza mai fermarsi, come l’acqua ognuno riesce a trovare la propria via.
Non avrei mai immaginato di poter trovare un’armonia del traffico e di voler stare ad un incrocio per osservare stupefatta questo spettacolo!
Sarà per il ronzio dei motorini ma ora il fiume si trasforma, nella mia immaginazione, in uno sciame d’api che volano ovunque, apparentemente in modo casuale ma in realtà con un piano prestabilito per raggiungere un obiettivo comune.


E’ incredibile.. nulla qui è impossibile ad un motorino! Trasporta anche tre o quattro persone, scompare sotto un carico di verdure, assume l’ingombro di un’auto quando viene caricato con un materasso sul quale sono impilati anche cuscini e coperte, diventa una fantastica macchia di rosso, giallo, fucsia quando è carico di corone mortuarie, fa trasecolare quando lo si vede passare annegato sotto otto corpi di maiale!



Le biciclette non sono da meno, ci si chiede come possano essere sospinte con quei carichi, come possano mantenere l’equilibrio quando, al limite della velocità minima per poterlo fare, trovano la loro via nel traffico.

E non è finita! Come non citare il più folcloristico, almeno nel mio immaginario dell’oriente, modo di trasportare la merce? Ancora numerose le donne che si vedono caracollare con il bilanciere su una spalla. Il loro trotterellare leggero, danzante, sotto la grazia apparente nasconde la funzione di poter reggere un peso spesso notevole.


Come quello della sabbia bagnata che alcune donne stanno trasportando su e giù, sulle scale di un cantiere di fronte all’albergo dove alloggio. O quello di cibo, pentole, fornello, stoviglie, sgabellini di plastica che, una volta trovato il proprio spazio sul marciapiede, si trasforma in un piccolo ristorante. O ancora quello dorato di un carico di baguettes croccanti, quello colorato di un assortimento di frutta esotica, quello crudamente sanguinolento dei pezzi di carne da vendere di porta in porta. Quando, invece, i cesti sono semivuoti, giusto qualche banana e ananas a ravvivarli, e la donna ha per certo il tipico cappello di paglia a cono… e sì, mi aspetto che dica “Madame, fotò!”, mentre, sveltamente, già mi mette il cappello in testa e il bilancere sulla spalla… va da sé che al turista tocchi pagare anche per faticare!

Questi non sono che pochi esempi di questa vita di strada, di questi ronzanti sciami di api che hanno bottinato o si apprestano a farlo. Forse questa è la forza del popolo vietnamita… la capacità di collaborare, di vivere in tanti con un alto livello di tolleranza, di affrontare insieme le difficoltà con calma e determinazione. Forse è ciò che ha permesso loro, nella storia recente, di vincere una guerra dopo l’altra contro nazioni ben più potenti di loro… la Francia prima, poi gli USA e infine la Cina. E ora di affrontare uno sviluppo economico ad alta velocità.

Ma queste sono solo supposizioni, sto ragionando troppo… meglio lasciar andare la ragione e ritornare ad essere un pesce nella corrente, altrimenti non riuscirò ad attraversare la strada!